(A cura del Dott. Valerio Martinelli – Cultore della materia del diritto del lavoro)

Il fatto ha ad oggetto l’infortunio occorso ad un lavoratore escavatorista il quale, una volta terminati i lavori di scavo, si dirigeva con una motopala in un’area contigua a quella interessate dalle opere e, al fine di pulire la zona dalla sterpaglia, saliva su una piattaforma in cemento posta al di sopra di una cisterna che per il peso del mezzo cedeva, facendo precipitare mezzo e lavoratore al suo interno. Il coordinatore, nei due gradi di giudizio, veniva condannato – in cooperazione con il datore di lavoro – per il reato di lesioni personali colpose per “aver omesso di verificare e controllare la corretta applicazione delle procedure di lavoro previste dal PSC, con particolare riferimento alla predisposizione di percorsi di circolazione dei mezzi, non provvedendo a delimitare, con apposita segnaletica e recinzione, la zona di cantiere non interessata allo scavo, così consentendo il transito dei mezzi pesanti sopra il solaio della cisterna”.

Il punto controverso, su cui si incentra la sentenza, richiede di verificare se gli obblighi, che si assumono violati, rientrano nelle competenze del coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione e di esecuzione o se, come sostenuto da parte ricorrente, siano invece ascrivibili al datore di lavoro.

Ai fini della nostra analisi giova richiamare:

  • 91, comma 1, lett. a) D.lgs. 81/2008 in virtù del quale compito principale del coordinatore per la progettazione è quello di “redige il piano di sicurezza e di coordinamento di cui all’articolo 100, comma 1, i cui contenuti sono dettagliatamente specificati nell’allegato XV”.
  • 92, comma 1, lett. a) e b) D.lgs. 81/2008 il quale individua i compiti di “alta vigilanza” spettanti al coordinatore per l’esecuzione consistenti nella verifica dell’applicazione “da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni loro pertinenti contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento di cui all’articolo 100 (..) e la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro”, nella verifica dell’idoneità “del piano operativo di sicurezza”, assicurandosi che esso sia coerente al piano di sicurezza e coordinamento, nell’adeguare il piano di sicurezza e di coordinamento “in relazione all’evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute” e nel verificare “che le imprese esecutrici adeguino (..) i rispettivi piani operativi di sicurezza”.

La Suprema Corte ha precisato, in primis, che l’alta vigilanza “riguarda la generale configurazione delle lavorazioni e non va confusa con quella operativa propria del datore di lavoro (..)”. Ancora, la Corte ha ricordato che per distinguere l’area di rischio governata dal coordinatore per l’esecuzione da quella del datore di lavoro può farsi ricorso, secondo la giurisprudenza, all’ambito di intervento del primo, così come delineato, ai sensi dell’all. XV D.lgs. 81/08, dal piano di sicurezza e coordinamento, che ne determina le aree estendendole “ai rischi connessi all’area di cantiere; ai rischi connessi all’organizzazione del cantiere; rischi connessi alle lavorazioni, nei quali sono compresi i rischi da interferenza”.

Il concetto di rischio specifico del datore di lavoro, prosegue la Corte, è legato “alle competenze settoriali di natura tecnica, alla conoscenza delle procedure da adottare nelle singole lavorazioni o all’utilizzazione di speciali tecniche o nell’uso di determinate macchine”, solitamente carenti in chi opera in settori diversi. La Corte, al riguardo, ha precisato che il rischio specifico del datore di lavoro “è il negativo di quello affidato alle cure del coordinatore per la sicurezza” poiché il rischio generico “inerisce solo all’interferenza fra attività lavorative facenti capo ad imprese e soggetti diversi che operano nello stesso spazio lavorativo”.

La Corte ha ritenuto necessario inquadrare la natura del rischio realizzato nel caso de quo, al fine di identificare il titolare della posizione di garanzia che avrebbe dovuto prevedere ed evitare quel rischio.

È chiaro, afferma la Corte, che “l’individuazione di aree non praticabili all’interno dell’area di cantiere non può che rientrare negli obblighi di colui che ne deve pianificare l’organizzazione, individuando, fra l’altro, i percorsi carrabili (..)”. È l’All. XV D.lgs. 81/08, infatti, che individua tra i contenuti minimi del piano di sicurezza e coordinamento quello di analizzare e valutare i rischi concreti relativi all’area e all’organizzazione del cantiere, oltre a quelli relativi alle lavorazioni e alle interferenze.

A conclusione, la Corte ha rigettato il ricorso, confermando la responsabilità del coordinatore in fase di progettazione e di esecuzione per aver omesso di analizzare i rischi e, conseguentemente, predisporre le necessarie cautele.

(Cass. pen., sez. IV, n. 10181 del 17.03.2021)

 

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