(A cura del Dott. Valerio Martinelli – Cultore della materia del diritto del lavoro)
“(..) deve escludersi la configurabilità del reato concernente la violazione della disciplina di cui all’art. 4 l. n. 300/1970, quando l’impianto audiovisivo o di controllo a distanza, sebbene installato sul luogo di lavoro in difetto di accordo con le rappresentanze sindacali legittimate, o di autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro, sia strettamente funzionale alla tutela del patrimonio aziendale, sempre, però, che il suo utilizzo non implichi un significativo controllo sull’ordinario svolgimento dell’attività lavorativa dei dipendenti, o debba restare necessariamente riservato per consentire l’accertamento di gravi condotte illecite degli stessi”
La vicenda in esame ha ad oggetto la condanna comminata per il reato di cui all’art. 4, c. 1 e 2 e all’art. 38 l. n. 300/70 (Statuto dei lavoratori) al titolare di una ditta esercente l’attività di commercio al dettaglio a causa dell’installazione di impianti video all’interno dell’azienda utilizzati per il controllo a distanza dei dipendenti senza aver richiesto l’accordo delle rappresentanze sindacali aziendali o dell’Ispettorato del Lavoro.
Il ricorso da cui prende le mosse la vicenda consta di due motivi di doglianza: con il primo l’imputato sosteneva che gli impianti video installati “non erano strumenti di controllo lesivi della libertà e dignità dei lavoratori, bensì sistemi difensivi a tutela del patrimonio aziendale (..) adottati a seguito del verificarsi di mancanze di merce nel magazzino (..) rivolti solo verso la cassa e le scaffalature” mentre con il secondo, egli evidenziava il contrasto tra la sentenza impugnata e le risultanze istruttorie, dalle quali era emerso che “gli impianti erano stati istallati a tutela del patrimonio aziendale e non per controllare l’attività dei dipendenti”.
La fattispecie di reato di cui all’art. 4 c. 1 l. 300/70[1] identifica quale condotta vietata quella dell’istallazione di impianti audiovisivi e di altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori e che possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale, in assenza di un accordo con le rappresentanze sindacali legittimate o di autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro. Il richiamato art. 38, invece, è funzionale alla sola determinazione della pena.
Tornando al caso de quo, la Suprema Corte, richiamando un orientamento seguito dalla giurisprudenza civile, ha evidenziato che esulano dall’ambito di applicazione dell’art. 4, e quindi dalle garanzie ivi previste, i controlli difensivi del datore laddove diretti ad accertare comportamenti illeciti e lesivi del patrimonio e dell’immagine aziendale[2], ritenendo che, l’interpretazione dell’art. 4 “va ispirata ad un equo e ragionevole bilanciamento fra le disposizioni costituzionali che garantiscono il diritto alla dignità e libertà del lavoratore nell’esercizio delle sue prestazioni oltre al diritto del cittadino al rispetto della propria persona ed il libero esercizio delle attività imprenditoriali”[3].
In accoglimento del ricorso, la Corte ha enunciato il principio riportato in apertura, evidenziando le lacune motivazionali presenti nella sentenza impugnata poiché essa non aveva chiarito se l’installazione del sistema di videosorveglianza fosse strettamente funzionale alla tutela del patrimonio aziendale, se l’utilizzo dello stesso comportasse un controllo non occasionale sull’ordinario svolgimento dell’attività lavorativa dei dipendenti o se doveva restare riservato all’accertamento di gravi condotte illecite di quest’ultimi.
(Cass. pen., sez. III, n. 3255 del 27.01.2021)
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[6] Cfr. Cass. civ. sez. lavoro n. 13266/2018 e 10636/2017.
[7] Cfr. Cass. civ. sez. lavoro n. 10636/2017.