(A cura del Dott. Valerio Martinelli – Cultore della materia del diritto del lavoro)

“(..) le norme antinfortunistiche sono dettate a tutela non soltanto dei lavoratori nell’esercizio della loro attività ma anche dei terzi che si trovino nell’ambiente di lavoro, indipendentemente dall’esistenza di un rapporto di dipendenza con il titolare dell’impresa (..)”[1]

La vicenda ha ad oggetto l’infortunio occorso ad un autista, dipendente della ditta cui era affidato il servizio di raccolta dei rifiuti, all’interno di un impianto di selezione dei rifiuti della società Beta. L’autista, una volta sceso dal mezzo per rimuovere il telo del cassone e procedere allo scarico del materiale proveniente dalla raccolta differenziata, veniva urtato dal muletto condotto da un dipendente della società Beta, riportando gravi lesioni.

Nei primi due gradi di giudizio, il datore di lavoro della società Beta è stato ritenuto responsabile del sinistro de quo in quanto le lesioni sono state ritenute una conseguenza della violazione degli artt. 63 e 64 comma 1 D.lgs. 81/2008, “per non avere (..) organizzato i luoghi di lavoro in maniera conforme all’Allegato IV, punto 1.4, ed in particolare per non aver organizzato una viabilità sicura regolamentando, con cartellonistica e segnaletica orizzontale, la circolazione nel piazzale esterno dell’impianto di selezione dei rifiuti, separando le corsie di marcia, indicando i luoghi di stoccaggio e le corsie destinate ai carrelli elevatori e ai pedoni, nonché le aree di manovra dei mezzi”.

Ai fini della nostra analisi, ci soffermeremo sulla pronuncia della Suprema Corte che riguarda le doglianze avanzate dal datore di lavoro. 

Nella sentenza impugnata, rileva la Suprema Corte, i giudici di secondo grado hanno ritenuto la misura di prevenzione prevista dal datore di lavoro nel documento di valutazione dei rischi, unitamente ad una corretta formazione dei lavoratori, non sufficiente a neutralizzare il rischio di investimento sul piazzale, “ritenendo all’uopo necessarie misure prevenzionistiche che avrebbero impedito qualsivoglia interferenza fra i conducenti dei muletti e gli addetti allo scarico del materiale, rendendo di fatto impossibile il verificarsi del sinistro”, facendo corretta applicazione, prosegue la Suprema Corte, del principio secondo cui “le norme antinfortunistiche sono dirette a prevenire anche il comportamento imprudente, negligente o dovuto ad imperizia dello stesso lavoratore[1] e riconducendo correttamente all’area del rischio governato dal datore di lavoro il possibile investimento dei pedoni derivante da negligenza, imprudenza o imperizia dei conducenti dei muletti.

A conclusione, la Suprema Corte richiama il principio riportato in epigrafe, affermando che la Corte d’Appello ha correttamente ritenuto che il datore di lavoro “nel predisporre misure di prevenzione relative al rischio specifico di investimento di terzi da parte dei lavoratori dipendenti conducenti dei muletti, dovesse realizzare anche le cautele finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio di comportamento imprudente o negligente di tali conducenti”, disponendo conseguentemente il rigetto del ricorso.

 

[1] Cfr. Cass. pen. sez. IV, sent. n. 12348/2008).

 

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